La gestione operativa e post-operativa di una discarica, la coltivazione o il ripristino di una cava, il monitoraggio dei lavori in un cantiere, la sorveglianza di una zona soggetta a frana o erosione, la previsione del rischio valanghe, etc. sono solo alcuni esempi di attività lavorative in cui risulta di estrema utilità il DEM.
Ma cos’è un DEM? Acronimo di “digital elevation model”, è un modello digitale georeferenziato del sito; una copia virtuale 2,5D della superficie.
Si, 2,5D. E’ una immagine bidimensionale che porta informazioni anche sulla terza dimensione. I pixel che formano l’immagine planimetrica contengono anche l’informazione dell’altezza. Quindi pur non essendo ancora un oggetto tridimensionale, non è neanche un oggetto puramente bidimensionale. Una via di mezzo insomma.
L’informazione dell’altezza viene di solito tradotta graficamente in un colore, secondo una data scala colorimetrica, in modo da apprezzare visivamente l’andamento altimetrico.
Figlie del DEM sono le curve di livello, che uniscono i punti di pari altezza.
Anche la “carta delle acclività” è figlia del DEM, contenendo esso sia le informazioni planimetriche georeferenziate che quelle altimetriche.
Da qui, è possibile valutare la stabilità di un versante, l’erosione superficiale, il rischio valanghe, l’esposizione solare, etc.
Inoltre, confrontando DEM derivanti da dati rilevati in momenti diversi sulla stessa area, è possibile monitorare le evoluzioni, valutare le subsidenze, i livelli di riempimento, l’andamento degli scavi, etc. e anche calcolare i volumi di abbancamento o di compattazione, di scavo o di riporto.
Di più: è possibile riportare graficamente l’entità delle variazioni, cioè creare una mappa che evidenzi dove c’è stato un innalzamento o un abbassamento del profilo e di quale entità. Dove, in pratica, il profilo sta crescendo e decrescendo più velocemente. In tal modo, basta un’occhiata per capire cosa sta succedendo e dove (e come) bisogna intervenire.
Insomma, uno strumento molto utile e versatile.